Treccine color miele
di Fulvio Del Deo
Mi chiamo Ilaria, ho
ventisei anni. Sono ancora viva. Riapro gli occhi in un letto sconosciuto. Ho la
vista annebbiata e lo zigomo sinistro gonfio che mi ingombra la visuale. Fuori è
una giornata stupenda, da starsene a mare fino a tardi. Dalla finestra vedo
Capri all'orizzonte, ma non riesco a provare nessuna emozione. Più che il dolore
al corpo fa male il vuoto che ho dentro. Un vuoto fisico, carnale. Un'assenza
incolmabile.
Riacquisto pian piano coscienza nonostante i farmaci
continuino a ottundere i miei sensi, costringendomi in un limbo ovattato. Non
ricordo quasi nulla delle botte, dei pugni, solo quel flash improvviso, quella
luce accecante che mi ha fatto volare per un attimo su, fino in paradiso ad
accompagnare la mia piccina... Il Signore la protegga.
Mi rigiro. Ho il
fianco destro pieno di ferite, lividi, escoriazioni e chissà che altro. Vorrei
uno specchio. Ma forse è meglio così. Richiudo gli occhi e cerco di capire, mi
chiedo come ho fatto ad arrivare fin qui. Fino a questo punto di non-ritorno.
Come ha fatto la mia vita a prendere questa piega assurda.
Mi
riaddormento. Sogno Andrea, l'estate di tre anni fa. Ma nel sogno non va a
finire come andò nella realtà, lui si trasforma in mia madre e così mi
risveglio, con un senso di nausea, saranno le medicine... E ho una sete da
morire.
L'estate di tre anni fa. Forse fu proprio allora che ebbe inizio
il tutto. Era l'ultima sera di vacanze. Eravamo in tenda, nudi, un po' brilli.
Ci accarezzavamo e ridevamo di mille sciocchezze. Ero felice. Totalmente serena
e allegra. La vita mi sorrideva.
Ci baciavamo, quando Radomir da fuori:
«Andrea, veri amici divide tutto. Noi qui ho sljivovica e noi solo in due!» Feci
segno con l'indice sul naso, sperando capisse al volo la mia intenzione di
fingere di dormire. Invece aprì subito la zip e lasciò entrare lui e la sua
biondina tedesca, di cui ho rimosso il nome.
Bevemmo tutti dalla stessa
bottiglia. Il bicchiere della staffa: domani ci si dice addio! Veri amici divide
tutto. La biondina cominciò ad accarezzare Andrea e Radomir mi guardò con occhi
da predatore. A quel punto ero ciucca al 100%, così lo lasciai fare. Intanto
vedevo Andrea che scopava sotto i miei occhi con la tedesca. Poi quell'odore
estraneo e acre di Radomir mi richiamò alla realtà. Altro che amore universale,
qua mi sembrava di essere in un film porno! Mi lasciai fare di tutto,
passivamente. A supplizio finito, mi addormentai.
Nel cuore dalle notte
uscii a vomitare, mentre in tenda Andrea continuava a dormire indisturbato.
Aspettai il chiarore del giorno in riva al mare. Avevo freddo. Mi sentivo
sporca, violata. Avrei fatto una doccia bollente.
In viaggio rimasi in
silenzio e misi lo stereo al massimo. Per Andrea era tutto ok, guidava portando
il tempo sul volante. Finsi di dormire al suo fianco. E così feci sul traghetto
e in macchina fino a Padova, dove lui si stava specializzando in psicoanalisi.
Io cominciavo a non credere più in niente e in nessuno.
«Non ti fermi un
po' per spezzare il viaggio?» «No, a Napoli ho un casino di cose in sospeso...
avrei dovuto essere lì già da una settimana», mentii. Sul treno mi accorsi di
odiare tutti. Passai tutto il tempo a guardare fuori dal
finestrino.
Napoli mi fece tenerezza, nel suo sfacelo quotidiano. Piazza
Garibaldi coi suoi emarginati e i suoi emigrati sfigati mi ricordò la proposta
di Angela di lavorare nel volontariato, sfruttando la mia conoscenza -si fa per
dire- delle lingue straniere.
Mia madre capì subito che era successo
qualcosa: «Perché avete litigato?» «Non abbiamo litigato. Semplicemente non
voglio più vederlo. Ma lui ancora non lo sa.» Glielo dissi per sms. E lui chiamò
subito sul fisso. Sentii la voce melliflua di mia madre in cucina: lei lo
adorava. Me lo passò: «Senti, prendila così: le storie finiscono perché qualcosa
si esaurisce. Come una batteria non ricaricabile. Mi dispiace.»
Mi buttai
a capofitto nel volontariato per cercare di credere di nuovo in qualcosa.
C'erano dei ragazzoni neri, cuccioloni bisognosi di famiglia. E io ero lì per
loro. Mi spezzavo letteralmente la schiena, dall'alba alla sera. E a casa
continuavo a lavorare al computer fino a notte, tentando di risolvere i loro
problemi.
"Peppino" si fa chiamare, è da tre anni che cerca di avere il
ricongiungimento con la famiglia, ma lo schifo della burocrazia gli mette sempre
il bastone fra le ruote. Intanto sua figlia cresce e fra poco dovrà andare a
scuola. E lui vorrebbe farle frequentare la scuola qui in Italia, dove ha
intenzione di vivere. E poi sua moglie! «Come fa un omo senza la moglie? lui è
solo una metà di omo, uno sfigato! Guardo la fotografia e la bacio? Dici, tu
faresti così per la vita?» E mi mostra la foto di una ragazza stupenda, con un
sorriso bianchissimo fra due guance nerissime.
Io, Angela e gli altri ci
facciamo il culo per un mese per procurarci dei computer vecchi, funzionanti
quel minimo per poter scrivere mail, per connettersi con skype, in modo che quei
poveretti non spendano tutto in schede telefoniche. E sono tutti così
riconoscenti da farmi commuovere fino alle lacrime. Sempre. Non mi abituerò mai
alla riconoscenza. Li amo tutti. Sono così indifesi... Non immaginavo che dei
giganti come loro potessero scatenare il mio istinto materno.
Poi in
quello stesso contesto compare Samir... Fu allora che cominciai a cantare a
squarciagola una vecchia canzone di Gianna Nannini. E fu proprio quel "sapor
mediorientale" a travolgere la mia vita. Lui era completamente diverso dagli
altri, dai cuccioloni neri e indifesi. Lui era determinato, aveva le idee
chiare, parlava di politica, di diritti. Era un uomo. Vero, come non se ne
vedono più da queste parti.
Aveva lo stesso nome di uno zio paterno che
aveva perso un braccio durante la Prima Intifada: «Lui è stato la mia guida
spirituale e io sono in debito verso di lui. Perciò continuerò la sua lotta, che
è una lotta di diritti di tutti i diseredati del pianeta. Noi dobbiamo
combattere contro lo strapotere dei ricchi che vogliono affamare l'umanità e
rubare i diritti e la terra ai popoli! Tu per me sei come un angelo, una
creatura celeste che porta soccorso, che fa il bene dove c'è chi ne ha bisogno.
Tu sei il mio ideale di donna che dà forza all'uomo e coraggio per
combattere.»
Vedevo il suo viso abbronzato, e lo sovrapponevo a quello
pallido di Andrea. Ascoltavo la sua storia, quella della sua famiglia, della sue
gente, narrate con quell'accento arabo che mi fa sempre squagliare... e mettevo
a confronto quelle vite piene di ideali con il degrado di quella mia notte
ubriaca in tenda.
Mio padre divenne grande amico di Samir. La domenica si
mettevano a chiacchierare di politica in soggiorno, mentre io aiutavo mia madre
a sbrigare la cucina. Poi portavo loro il caffè.
Quando seppe che ero
incinta, ci sposammo. Fu allora che mi chiese di vestire alla maniera islamica.
Io accettai di buon grado, perché era una cosa che mi faceva sentire di nuovo
"pulita". Mi ero finalmente liberata di quel sudiciume tenace che non voleva
scollarsi di dosso, da quelle notte in Croazia.
Peppino invece non fu
affatto contento di vedermi velata «No, no! tu hai i capelli belli come il
miele, non devi copprire. Allah ama i capelli delle donne come te. Tu non sei
superba e non fai arma della tua bellezza. Non devi copprire! Mia moglie, quando
tu riuscirai a far venire qui, ti farà le belle treccine piccole come ha la mia
bambina. Guarda, ho stampate stamattina con internet la sua foto...»
Lo
abbracciai e lo rassicurai che non sarebbe cambiato niente. A lui Samir non era
mai piaciuto, lo avevo capito fin dal primo istante. Ma io amavo tutti e due,
anche se in modo totalmente diverso. I due avevano una filosofia di vita troppo
differente. Peppino diceva: «Si prega Allah. E chi fa il bene avrà da Allah ciò
che ha pregato. Non si usa le armi per avere. Allah non vuole che tu uccidi le
vite! Lui le ha date e solo lui le toglie. Le armi sono solo per difendere le
vite, non per toglierle a persone innocenti!»
Anche a mia madre non era
mai piaciuto Samir. Ma le mamme -si sa- rompono sempre! Almeno così credevo
all'epoca.
E poi arriviamo a ieri, giovedì 2 agosto. Napoli, via Toledo
ore 12 e 45 circa. Un caldo da morire. Io al quinto mese di gravidanza e tanta
folla per la strada. Samir cammina accanto a me, leggermente più avanti, fiero.
Non vedo l'ora di sedermi in funicolare per risalire al Vomero a casa dei miei.
E sì, noi adesso abitiamo quaggiù. Non è il massimo come casa, ma col tempo
miglioreremo... La mia piccina scalcia nella pancia? La sento muoversi. Mi gira
la testa. Chiedo a Samir di rallentare un po'. Lui premuroso si preoccupa
«Problemi?» «No no, ho caldo però. Molto caldo...» «Fa caldo», e continua a
camminare.
A un certo punto mi sento proprio soffocare. Così mi scopro la
testa, mi levo il foulard e prendo a farmi aria con la mano. Samir si volta
rabbuiato «Rimetti subito!» Io lo guardo implorante «Si muore...» «Ti uccido io
se non metti subito!!», ripete sottovoce con rabbia. Non lo reggo, non sopporto
chi si preoccupa solo delle apparenze. Sbottono anche la camicia e faccio
entrare un po' d'aria nella scollatura.
Ecco, è stato allora. Da
quell'istante il mio mondo è cambiato: ho sentito un colpo fortissimo alla
guancia sinistra. In vita mia, non avevo mai ricevuto un pugno. Sono caduta. Ora
ricordo tutto. Lui mi ha presa a calci, ora ricordo. Poi c'è stata la luce,
quando ho accompagnato Yazmin dal Signore. Che riposi in pace!
La porta
si apre. Compare una donna bellissima, nerissima con la testa piena di treccine,
insieme a un bimba ancor più bella di lei, anche lei con la testa piena di
treccine. Poi fa capolino Peppino «Si può?»
La donna mi prende le mani e
le bacia «Grazie signora, tu hai fatto tantissimo per la nostra vita e nostra
felicità. Signore ti premierà. Tu oggi è così nel letto e questa è una brutta
cosa, ma domani hai grande gioia e tanto amore, perché tu sai dare gioia e
amore!
Peppino sorride «Le vedi come sono belle qui!? Tu hai lavorato
molto e anche pregato per questo. E adesso eccole!»
Mi viene voglia di
alzarmi subito dal letto per farmi fare i capelli a treccine. Non sarà la
violenza di un criminale a farmi smettere di credere nella misericordia di
Allah.